La gazzarra orchestrata dai mezzi di informazione delle lobby della finanza (cioè tutti i giornali e le televisioni) contro la manovra economica del “governo del cambiamento” formato da Movimento 5 stelle e Lega dimostra la bontà di un provvedimento che mette fine, finalmente, a decenni di malgoverno. E ovviamente fa andare su tutte le furie bancarottieri e parassiti che sul malgoverno hanno costruito le loro enormi fortune.
Non solo, ma alla prova dei fatti non vi sono dubbi che l’attuale governo sia quello che più ha lavorato rispetto a tutti i precedenti.
Dalle forti prese di posizione contro una immigrazione incontrollata, fino alla strategia del buonsenso per il crollo del ponte di Genova, dai fondi stanziati per le vittime delle truffe da parte delle banche, fino all’attesissimo reddito di cittadinanza, che colma un insopportabile vuoto delle leggi italiane.
Mentre si sa che la burocrazia è l’anima di tanti funzionari disonesti per ottenere aiuti per “agevolare” le pratiche troppo lente.
Questa premessa serve per comprendere come da 30 anni l’agricoltura cerca di valorizzare le produzioni italiane, e come da 30 anni capita che le strutture di gestione delle istituzioni si mettano di traverso per ostacolare i cambiamenti. Poi in Regione Lombardia e al ministero dell’Agricoltura si sono alternati personaggi di tutti i tipi, anche impresentabili. Mentre gli obiettivi rimasero sempre gli stessi.
Ora con Gian Marco Centinaio arriva un ministro pavese che ha dimostrato un forte impegno e grande capacità in quello che fa. Insomma una nomina che fa ben sperare.
Nonostante quello che hanno fatto i suoi predecessori. Basta citare tale Maurizio Martina.
E arriva la domanda: ministro Centinaio, ma lei quale agricoltura vorrebbe?
Una domanda banale, ma centrale in un ministero che si deve confrontare con quella che è stata l’attività fondante dell’Unione europea, perché quasi 50 anni fa il Mercato comune europeo nacque per l’agricoltura e solo per l’agricoltura. E ancora l’agricoltura è diventata la palestra della globalizzazione, con l’abolizione di quei dazi alle importazioni che permettevano all’agricoltura italiana di poter rimanere competitiva rispetto ad altre aree dove i costi di produzione sono molto più basse, per i più svariati motivi.
E qui arriva la prima certezza: l’Italia non è in grado di sostenere la competitività di quasi tutti i prodotti, cioè il riso asiatico costa meno, il vino cileno costa meno, il grano russo costa meno, l’olio tunisino costa meno, la carne argentina costa meno, i pomodori cinesi costano meno, e così all’infinito.
A questa situazione l’agricoltura italiana, sulla spinta delle associazioni agricole che hanno dimostrato scarsa capacità previsionale, ha risposto illudendo che la soluzione sarebbe stata una spinta fortissima all’economia di scala, cioè aziende sempre più grandi, uso sempre più massiccio della chimica, trattori sempre più grandi, sempre meno occupati, uso sfacciato di manodopera straniera schiavizzata.
Ma senza alcun risultato, visto che in termini reali la rincorsa continua, con sempre meno riconoscimento economico delle derrate alimentari italiane.
Le associazioni hanno insistito, chi inneggiando agli Ogm (Confagricoltura) chi puntando l’indice contro i finti prodotti italiani (Coldiretti), ovviamente facendo finta di non sapere che gli Ogm abbassano ancora di più i prezzo dei prodotti agricoli e che i casi di contraffazione dei prodotti tipici avvengono più in Italia che all’estero: l’episodio del finto prosciutto San Daniele si commenta da solo.
Dunque difficile pensare che al ministro Gian Marco Centinaio possano arrivare consigli obiettivi dalle associazioni agricole. Anche perché gli interessi delle associazioni agricole riguardano un aumento della burocrazia, cioè altre entrate per il lavoro di consulenza delle associazioni, mentre per gli agricoltori è l’esatto contrario.
E sarebbe pericoloso illudersi che l’industria agroalimentare e l’agricoltura possano fare un percorso di filiera: non è mai successo e mai succederà, perché gli interessi sono contrapposti e perché il potere contrattuale dell’industria è enormemente maggiore di quello degli agricoltori.
Anche se si cerca di blandirli chiamandoli “Imprenditori agricoli”.
Il vero, enorme, problema attuale del settore agricolo resta però il fatto che nella formazione del prezzo di vendita degli alimenti la parte del leone la faccia la grande distribuzione, che strozza i prezzi all’origine e gonfia quelli al dettaglio.
Il consumatore oggi paga mediamente per un alimento dieci volte il prezzo riconosciuto alla produzione, e così succede che mentre i consumi ristagnano, le aziende agricole rincorrono inutilmente prezzi sempre più bassi. Prezzi irraggiungibili.
Così capita che ci siano aziende sempre più grandi, agricoltura sempre più povera e inquinata, posti di lavoro sempre in caduta libera, impiego di manodopera straniera sottopagata: una follia.
Questa, che piaccia o no, è la vera fotografia dell’agricoltura italiana che viene consegnata al ministro Gian Marco Centinaio, impegnato in quel governo del cambiamento cui l’agricoltura affida mille speranze.
Percè proprio Gian Marco Centinaio, per le sue doti umane e politiche, è l’unico che può mettere ordine in un’agricoltura oggettivamente alla deriva.
Non domattina, ma in un arco di anni di lavoro.
Al ministro si chiede oggi un atto di coraggio, quello di riportare l’agricoltura a livello di settore strategico, dopo tanti decenni di abbandono di ogni orgoglio per il lavoro dei campi. Anzi il termine “lavoro” è certamente il primo obiettivo indispensabile, perché se in Italia si continua a sognare un “Kolchoz” gigantesco, con sempre meno occupati, sempre più impiego di prodotti chimici, sempre più schiavi impegnati a lavorare per qualche spicciolo (non solo in Puglia, ma anche a Stradella!), allora significa che si vuole solo fare gli interessi di quei pochi gruppi della grande distribuzione che stanno affamando il mondo dei campi.
E l’alternativa non sono certo mercatini per pochi intimi dove si sogna di vivere in un’oasi fuori dalla realtà, finendo per essere soggetti a truffe colossali. Dunque torna il nostro appello: ministro Centinaio pensi davvero a quale vorrebbe che fosse il futuro dell’agricoltura. Pensi a come si potrebbe rafforzare, rivitalizzare.
E poi porti avanti il suo progetto, senza guardare in faccia a nessuno. Con il coraggio che dimostrano i suoi colleghi di governo, da Conte a Salvini a Di Maio.
Oggi le colline dell’Oltrepò sono popolate da romeni e i campi di ortaggi della golena da africani, intanto che crollano le cascine, spopolate da forme intensive di coltivazione che l’ambiente non regge più, perché, purtroppo, l’attività più inquinante al mondo è proprio l’agricoltura.
Ministro Gian Marco Centinaio, faccia le sue scelte e vada per la sua strada!
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