Stimato direttore, le scrivo per tornare sull’argomento affrontato nell’articolo de L’Informatore Lomellino il 13 di novembre scorso intitolato “Così la Lomellina cade a pezzi”. Vorrei ritornare su questo tema perché credo sia molto importante poterlo approfondire e contestualizzare.
Innanzi tutto va detto e precisato che il problema è generalizzato e riguarda la maggior parte dei comuni di piccola e media dimensione di tutto il Paese, la “Lomellina” è stata presa come riferimento in quanto risulta essere la zona in cui noi viviamo e operiamo, e Candia Lomellina solo un comune di esempio per dimostrare questa situazione.
Il problema degli immobili cadenti, pericolanti, disabitati e talvolta pericolosi deve essere inserito in una problematica più ampia che chiamerei “depauperamento” dei territori periferici e di provincia.
Il depauperamento avviene sommando più fattori. Al primo posto la perdita di servizi come ospedali o parti di essi, agenzie statali, sportelli bancari e mobilità sul territorio. Le condizioni delle strade provinciali e comunali sono sempre peggio. Il non adeguamento alle nuove tecnologie, come il cablaggio attraverso la fibra. Da Candia passa una dorsale in fibra ottica che collega Milano a Torino, ma noi non possiamo utilizzata.
Questi fattori hanno determinato o stanno determinando un riassetto delle attività produttive a vantaggio degli hinterland delle città proprio perché queste sono meglio servite. La conseguenza della chiusura o spostamento di attività causa l’inevitabile esodo della popolazione verso le località dove l’offerta di lavoro risulta essere maggiore e i servizi più completi. E qui torniamo alle nostre case disabitate.
Il calo demografico ingenera altre conseguenze tra cui la diminuzione degli alunni nelle scuole mettendone a rischio ogni anno la loro conservazione.
Il depauperamento viene ancora più accentuato se consideriamo il fatto che i nostri territori vengono sempre più utilizzati per lo smaltimento di gessi e di fanghi di depurazione oltre all’abbandono di interi stormi di piccioni catturati nelle città. I piccioni, oltre a essere un danno per l’agricoltura, sono una piaga per edifici pubblici e privati tanto da diventare, talvolta, un problema di salute pubblica.
Se il governo centrale o quello regionale non interverranno quanto prima sulla questione, avremo un degrado e un depauperamento del territorio molto grave e forse irreversibile. Chiedo che vengano messe in campo politiche serie e concrete che possano sostenere i nostri piccoli comuni.
Diversamente sarebbero destinati a scomparire.
Stefano Tonetti
Sindaco pro tempore di Candia Lomellina
(Risponde Davide Maniaci, autore del servizio giornalistico)
Gentile sindaco,
Il problema delle case cadenti, come giustamente lei sottolinea, è endemico e coinvolge quasi tutti i paesi che visito durante il mio peregrinare continuo per la Lomellina. Candia era un esempio e lei, con intelligenza, ha concordato con una mia opinione che ho da sempre. “L’unico modo che abbiamo per affrontare i problemi è parlarne, parlarne sempre, sbattere in faccia alle persone (in questo caso ai lettori) una situazione che va avanti da anni”. Questa.
Non è, come credono alcuni, un “mettere in cattiva luce” gratuito. Le case pericolanti ci sarebbero anche se nessuno ne parlasse. Anzi, ce ne sarebbero molte di più e crollerebbero sulla testa dei passanti.
Ma vede, io credo che (al di là di quello che si sente dire in giro) parte della colpa sia degli amministratori locali. Lei ha avuto il coraggio di esporsi sul nostro settimanale e di rischiare di prendersi le critiche, come infatti è avvenuto, per segnalare una situazione oggettiva e fare il punto della situazione. Vedere cosa si può fare, cercare di fare in fretta, coinvolgere le istituzioni e i privati che quelle case le possiedono.
Leggo ovunque che “i sindaci non possono farci niente” quando dall’alto tagliano questo e tagliano quell’altro. Adesso sta girando una raccolta firme per dire “basta”, ma è stata lanciata dopo il clamore sui giornali (noi per primi, gli altri a ruota, come spesso capita) e dopo che ormai quasi tutti i servizi nei paesi erano già stati eliminati. Ha presente il famoso proverbio della stalla chiusa dopo che sono scappati i buoi?
Delle due l’una.
O un sindaco ha il potere di impedire, almeno in parte, che ai paesi già spopolati venga tolto tutto, o non ce l’ha. E se non ce l’ha, cosa fa il sindaco a fare? Per farsi dire “buongiorno signor sindaco” al bar? Eppure quando quasi due anni fa mi occupai di un’inchiesta riguardante la possibilità di fusione per i piccoli Comuni, i più contrari erano proprio i primi cittadini di paesi di 300 abitanti. Quelli che non hanno nulla, si lamentano di non aver nulla e di non poter fare nulla.
Non trova una contraddizione in tutto questo?
L’altro guaio è che molte persone si arrabbiano quando si evidenziano i problemi. In altre parole, va bene che le case crollino, va bene che vengano eliminate le banche senza quasi avvisare, va bene tutto. Non va bene però che il giornale ne parli. Siamo in mano a gente - non nel suo paese - che da anni e anni ricopre ruoli di vertice nei consigli di amministrazione di fondazioni in rosso di centinaia di migliaia di euro.
Gente che non si dimette da quella carica pur avendo fatto disastri, che non si vergogna a gestire un ente con debiti da far rizzare i capelli, ma che va in giro con la bava alla bocca ad insultare (indirettamente, poi col cavolo che hanno il coraggio di telefonarmi…) il giornalista che ha la sola colpa di scrivere che questi amministratori sono incapaci, lasciano debiti a destra e a sinistra e prima o poi finiranno davanti a un giudice. Con persone così dove vogliamo andare?
Davide Maniaci
Stefano Tonetti © Riproduzione riservata